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I discorsi di Andrée 2

  
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Sono passati quattro anni dalla prima volta che ho incontrato Charles, anni fantastici che vale la pena di raccontare dalla sera in cui io e le due fanciulle in fiore ci siamo sbronzati e tornando a casa Andrée e Albertine mi hanno proposto di parlare di mio nonno con quell'uomo stravagante conosciuto da tutti come lo scemo del villaggio.

Tutto è iniziato allora.
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Il giorno dopo ricordo di essermi svegliato molto tardi.
Nonostante la bocca impastata dal vino scadente della sera prima e un forte mal di testa
ho deciso di uscire subito per pranzare alla trattoria del ponticello,
in attesa che le mie nuove amiche aprissero il loro negozio di souvenir,
uno dei luoghi più tipici della regione a loro dire, di grande interesse
per chi voglia cogliere la realtà onirica e surreale in cui era immerso quel paese
e le vite di chi lo abita.
Così nel pomeriggio mi sono trovato ad entrare in quella bottega da Herry Potter
con la circospezione e il rispetto dell'ateo che entra in una chiesa.

Andrée e Albertine mi aspettavano e la loro accoglienza è stata festosa.
Mi hanno subito mostrato con grande orgoglio tutte le merci del loro negozio
che in realtà visto dall'interno sembrava più un grande magazzino che un negozio
perché in tre grandi locali c'era ammassato di tutto,
pile su pile di vecchie riviste e giornali,
quadri, bottiglie con bevande colorate, scarpe, libri, mobili, cartoline, fotografie.
Alla fine di quella visita la mia espressione non poteva essere che perplessa, interrogativa,
e l'interrogativo che mi ponevo era cosa potesse legare, oltre alla polvere,
una quantità di oggetti così eterogenei e scompagnati.
Fu Andrée a rispondere a quella domanda che non avevo avuto il tempo di formulare.
-Ti ricordo che siamo a Combray, la gente qui viene alla ricerca della Recherche
e da noi trova molti degli oggetti che hanno dato vita a qualche episodio importante di quell'Opera,
le scarpette rosse di Oriane Guermantes,
i Luigi di cartapesta che Odette spargeva sopra i caminetti,
la carta da lettere di Albertine con il suo motto "per viam rectam",
i biglietti da visita dei personaggi più importanti della Recherche e quelli dei loro modelli,
i libri, vendiamo tutte le settimane decine di copie di Francoise le Campi,
le memorie di madame de Sévignée e di Madame de Beausergent,
la storia di Combray del curato Criquetot
ci sono tutti gli spartiti di Hann, la sonata per pianoforte e violino di Saint-Saëns
che per motivi commerciali abbiamo sottotitolato la sonata di Vinteuil.
E poi ci sono i quadri, il ritratto di Elstir a Odette nelle vesti di Miss Sacripant,
varie riproduzioni della Sefora di Botticelli, che convince Swann a innamorarsi di Odette,
numerose versioni della "Colazione dei canottieri" che nell'opera di Proust
viene attribuito a Elstir anche se in reltà è di Renoir.
Le abbiamo sottotitolate tutte "i canottieri di Elstir".

Presi in mano una di quelle bottiglie colorate.
-Quella bottiglia è di Yquem. Ne teniamo sempre qualche cassa
perché è dato per certo che quel vino venisse servito nei pranzi di gala dei Verdurin.
L'altra è un liquore molto forte che abbiamo chiamato "Spirito dei Guermantes".
Lo facciamo fare noi, qui, ed è un articolo tra i più venduti
perché la gente non sa mai cosa portare a casa, come souvenir.

La riflessione più ingenua che potessi fare è che quel commercio
viveva sostanzialmente di merci taroccate, di piccole truffe e patetiche menzogne.
Andrée mi rispose con pazienza pedagogica che la gente non era così stupida
da credere che in quel negozio si potessero trovare le autentiche scarpine rosse di Odette,
dal 36 al 40 e in diversi modelli, tutti sanno che nessuno degli oggetti esposti in questa bottega
risale davvero a quegli anni e accettano di buon grado l'idea che noi vendiamo i loro sogni
perché sanno che quelli non si possono taroccare.
Per questo passano da qui dopo il pellegrinaggio alla casa museo,
perchè sperano di poter trovare qualcosa di più curioso delle madelaines di antica ricetta
esposte in tutte le vetrine del paese, qualcosa che puoi portare a casa e conservare,
un segnalibro della memoria capace di restituirti il sapore di una visita
in un mondo immaginario.

Mi venne da sorridere pensando all'alto grado di astrazione che raggiungevano le sue parole
in confronto al mio modo di ragionare ed esporre, che alcuni valutano già troppo fantasioso.
Mentre Albertine si occupava dei clienti che entravano in continuazione
io e Andrée ci sedemmo intorno a un tavolino del retro per berci un bicchiere di quel Yquem
tanto apprezzato nel salotto Verdurin. Ne approfittai per chiedere quale era il loro vero nome
visto che era davvero improbabile che si chiamassero proprio come le fanciulle in fiore
e Andree mi rispose che no, non era affatto improbabile che si chiamassero davvero così
perchè le famiglie storiche di quel paese onorano ancora la tradizione di chiamare i figli con nomi
dei personaggi ritratti da Proust.
A scuola frequentava una classe popolata da Adolphe, Charles, Francoise, Oriane, Lèonie, Odette
quindi avrebbe potuto tranquillamente chiamarsi Andrée.
Ma invece no, il nome con cui adesso tutti le conoscevano, Andrée e Albertine,
è un soprannome che risale ai tempi in cui erano ancora bambine, perché stavano sempre insieme
e qualcuno aveva iniziato a parlare di una amicizia malata.
Quando poi in paese si misero tutti a spettegolare sul il loro rapporto immorale e vizioso
le due amanti decisero di tenersi per sempre quei soprannomi e rispondere solo a quelli
per sfidare tutti i benpensanti di merda e dicharare che loro se ne fottevano della loro morale.
Queste furono le parole con cui la fanciulla in fiore mi descrisse con grande schiettezza
il clima che si respirava in quel remoto paesino di campagna. 

Andrée non era bella come Albertine ma era molto affascinante, come tutte le persone sicure di sé.
Come ho già detto, mi ha subito catturato il suo modo di parlare.
Il suo stile verbale è stato per me importante perché mi ha suggerito la struttura di alcuni brani
di una raccolta musicale che ho voluto chiamare " I discorsi di Andrée",
raccolta di cui questa pagina pubblica il secondo studio.
L'urgenza di comunicare della mia nuova amica, trovava la sua espressione
in un flusso di coscienza ininterrotto che incantava l'ascoltatore ma non lo coinvolgeva
perché in quella tempesta di parole non erano comprese solo le domande rivolte occasionalmente all'interlocutore ma anche le sue risposte che Andrée anticipava con buona approssimazione
per poi riallacciale ad argomenti completamente nuovi e diversi 
che facevano perdere il filo da cui si era partiti. 

Il nuovo oggetto poteva poi causarle disperazione o entusiasmo sinceri prima di venire sostituito
da un argomento del tutto dissimile e scollegato da tutto quello che lo precedeva.
 
Sorprendente, come ho già detto non potevo che rimanerne incantato.
Questo personalissimo stile verbale è la forma che ho cercato di ridurre in termini musicali,
ed è l'idea che promuove la serie dei discorsi di Andrée,
di cui quello pubblicato in questa pagina è il secondo studio.

Trovai il modo di chiederle se questo commercio bastava a loro due per vivere.
Andree mi rispose che assolutamente no, lei faceva anche un'altro lavoro,
era una psicologa, o più precisamente una psicoanalista, di stretta osservanza freudiana.
Aveva alcuni pazienti a Combray, ma la maggior parte venivano da Chartres dove era molto considerata.
E anche Albertine fino a qualche mese prima lavorava anche alla casa museo di Proust.
Ma era stata licenziata e adesso si occupava a tempo pieno del negozio.
Entrando su una sua breve pausa cercai di spostare il discorso su quel Charles
di cui mi avevano parlato la sera prima. Chi era e perché avrebbe dovuto avere informazioni su mio nonno?
Da quando me ne avevano parlato mi frullava per la testa che il grande uomo che era propizio vedere
fosse proprio lui. Osservai Andrée, che non sapendone niente della mia domanda all'Oracolo
stava iniziando con tutta probabilità a valutare questo mio interesse con l'ottica stroboscopica
della sua formazione psicanalitica. Ne fui certo quando la vidi rimanere in silenzio per alcuni istanti
e mi venne da pensare che presto sarebbe potuta arrivare alle stesse conclusioni di Linda
e cioè che per i nevrotici (come amava considerarmi benevolmente) non è la realtà oggettiva quella che conta, ma quella psichica, da cui derivavano tutte le mie invenzioni e le mie fantasie.
Fortunatamete quel giorno Andrée non volle lanciarsi in diagnosi affrettate,
conosceva poco me, i fatti e preferì rispondere con rassicurazioni incoraggianti:

-Tranquillo, va tutto bene, abbiamo mandato a chiamare Charles e vedrai che tra qualche giorno
lo potrai incontrare e chiedergli quel che ti pare.
Ricordo che quel "va tutto bene" mi sembrò molto più di scuola junghiana che freudiana.
Non chiariva il suo pensiero e neanche il mio.


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